mercoledì, giugno 21, 2006

VIII Meeting Internazionale degli scrittori Sofia 2006 (BG)



La forza e la debolezza delle parole nel dialogo con il mondo in globalizzazione

Gentili signore, egregi signori,
desidero ringraziare il Signor Georghi Parvanov, Presidente della Repububblica di Bulgaria che patrocinia l’evento, la Fondazione Slaviani, nella persona del Professor Zahari Zakariev, l’Associazione degli Scrittori Bulgari nella persona del suo presidente Sig. Nicolay Petev, e il poeta Sig. Lyubomir Levchev che con la consueta tenacia, hanno permesso che questo evento si realizzasse.

Gli ringrazio per l’invito, e mi sento nuovamente onorato d’essere tra tutti voi. Vedo tra i delegati, colleghi che ho avuto il piacere di conoscere l’anno precente, e scrittori cui la fama ha varcato i confini nazionali, lasciando un segno difficilmente egualiabile nella storia della letteratura internazionale.


Ho riflettuto alcuni giorni per l’approccio senza essere noioso, e credo d’essere giunto ad alcune deduzioni, che certamente non saranno esaustive, visto l’ampiezza, e la molteplicità di sfumature a cui esso si presta.
Oggi, in una società in rapida evoluzione, ci troviamo, forse come mai prima d’ora succubi di un nuovo mondo: Internet.
Questo strumento, ha permesso anche a noi scrittori d’aprire una nuova breccia sul mondo. Ma questo non basta, anzi, spesso questa realtà virtuale, si trasforma in una panacea, che da l’illusione di toccare con mano ogni realtà sul pianeta, creando una fortezza illusoria di dialogo e di conoscenza, che mal si addice alla realtà dello scrittore.
Le parole viaggiano alla velocità della luce, ma come elettroni impazziti, raggiungo i nostri sensi, con un suono distorto. E un fruscio di fondo, sovente generato dai pregiudizi, forse dovuto all’eccesso d’informazione, dove l’uomo contemporaneo, non riesce più a distinugere la verità dall’inganno, portandolo a credere a verità ripetute e martellate nelle menti, deprivandolo della possibilità d’analizzare e razionalizzare il tutto.
Innanzi a questa mole impressionante di dati, si è come naufraghi in balia di una corrente pericolosa e deviazionistica, che inconsciamente condiziona le masse, creando con l’artificio dell’inganno l’idea del sapere e dell’essere presenti.
L’uomo per sua natura, si relaziona con il mondo esterno, attraverso i cinque sensi, ma essi, però soffrono delle debolezze che la tecnologia mette a disposizione: l’atrofizzazione parziale dei medesimi, che indebolisce e svuota, dove la realtà globale potrebbe arrivare a distruggere la realtà locale, e individuale, destrutturando l’uomo stesso.
Lo scrittore, forse gode di una posizone privilegiata, perché grazie anche al talento che la natura gli ha messo a disposizione, riesce a filtrare attraverso il proprio essere, eventi, situazioni, emozioni, che razionalmente sono inspiegabili, ma che conferiscono, in forme diverse, la forza di far partecipe l’insieme di culture, lingue, tragedie, e/o allegorie del mondo che si evolve attorno a noi.
In una realtà sempre più frenetica, siamo i cronisti che fermano il tempo, dove le parole sfrecciano e ci raggiungono a frequenze diverse. Ognuna dotata di forza e e debolezza intrinseca. Ma nel villaggio globale, assistiamo ad un fenomeno estremamente pericoloso, che si è sempre ripresentanto nel corso della storia, e che ora riemerge in forma più acuta: la debolezza del forte che urlando può imporre il dominio e controllo. Lo percepiamo quotidianamente, dove l’imposizione tende a schiacciare e rendere inerti le differenze culturali, e l’omolagazione sta raggiungendo vette pericolose, dove pochi riescono, e trovano la forza d’andare contro corrente.
Vorrei raccontarvi un fatto:
Il due giugno, mentre scrivevo questo intervento, in Bulgaria è il giorno dedicato al poeta patriotico Hirsto Botev, e si ricordano per la libertà della Bulgaria, ed ho sentito le sirene suonare. Quel suono sinistro, profondo, era come un lamento dei morti che cercano il ricordo, tornando per tre minuti alla vita. Per centoottanta secondi il popolo si ferma sulle strade a rendere omaggio. Il grido stridente mi ha riportato alla realtà, alla tragicità propria delle parole, alla virulenza nei confronti del diverso, del “nemico”, che per colpa di pochi, un domani potrebbe essere il vicino di casa.
Quel suono gemente, ha spazzato via l’illusorietà pericolosa di un mondo uniformato, virtuale, palesemente falso e dannoso, dove non ci si può esprimere nella diversità, l’individualità. Quell’ acuto morbosamente orrorifico, a tutt’oggi risuona in molte nazioni e continua ad essere udito da milioni di persone, non a memoria dei caduti passati, ma come un’ancora di salvezza, nei confronti delle atrocità che si continuano a perpetrare.
Le antiche domande che l’uomo di pone dall’inizo del tempo, non sono cambiate, e l’enorme punto interrogativo, grava ancora sulle nostre teste, e attendono risposte, che seppur con sfumature e accenti diversi, risuonino univoche.
Non esistono ricette magiche, o pozioni che possano cambiare il mondo. Ma abbiamo nella parola, la forza di rendere creativo il pensiero, e questa creatività dovrebbe risuonare come il lamento delle sirene del due giugno, portando ad interrogarci sul perché siamo impotenti innanzi agli errori che si ripetono.
Lo scrittore è come una voce che grida nel deserto, e il primo deserto è la creazione stessa. Soli innanzi al nulla del foglio bianco, soli, come le sirene che reclamano d’essere udite. In questo luogo ovattato, immerso nel mondo, ma fuori da esso, capta e trasforma quanto vibra nel suo essere.
È necessario alla luce di tutto ciò, fare un distinguo essenziale tra quella che è la vera globalizzazione, dove si è riuniti in contatto culturale su scala planetaria, e quella, che viene smerciata come globalizzazione, ma null’altro è che una lotta egemonica per il predomio, non solo dei mercati, ma anche dei pensieri, svuotati dell’automomia individuale.
Le parole, in se non sono altro che singole sillabe, che assumono una forza costruttiva o distruttiva, in base a come le si vogliono stumentalizzare, ma spesso sono forti con i deboli, e deboli con i forti.
Si vorrebbe che l’utopia divenisse realtà, che il sogno divenisse un esperienza metafisica che coinvolgesse l’essenza dell’uomo, ma egli dimostra per l’ennesima volta che il riflusso del tempo, lo sta nuovamente travolgendo, e che il dialogo ed il confronto, sovente avviene tra sordi che ascoltano solo se stessi, negando l’altro.
Le parole nel mondo globalizzato, viaggiano armate, come freccie avvelenate, deprivate della fragilità dell’essere della loro innata forza creativa.
Paradossalmente, la parola richiede silenzio, ascolto, il saper fondere in un'unica identità bisogni diversi, rendendoli comuni. Solo così la forza dell’espressività né esce rinsaldata.
Noi che ruolo giochiamo in tutto ciò? Quello dei forti? Dei deboli? Degli ascoltatori, o degli urlatori?
Credo che oguno conosca la riposta, e non necessariamente la debba comunicare. Ma però, la sola presenza a questo forum, dovrebbe indicarci una via da percorre, una strada da tracciare, non per il nostro bene o interesse personale, ma per un bene comune che si espande fuori da queste mura, oltre a questi giorni, rammentando che la Parola, qualunque essa sia perdura in eterno, e semina i suoi frutti , creando un peso distruttivo o costruttivo, a seconda della volontà dell’uomo che la usa.

Desidero terminare, e dedicare il mio intervento, con un ringraziamento particolare anche alle figure che sono uno dei dei ponti tra le varie culture: i traduttori e gli interpreti, perché grazie al loro lavoro, permettono che le antiche divisioni linguistiche di Babele siano superate.
Grazie per l’attenzione

Marco Bazzato
Poeta e Scrittore, Membro P.E.N. Club Italia
Sofia, li 12.06.2006

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